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2 marzo 2015

L’intervento secondo un’ottica cognitivo costruttivista

Il processo terapeutico, nell’ottica costruttivista, è esemplificabile con la metafora, originariamente proposta da Kelly (1955), dell’uomo come scienziato.
Il lavoro terapeutico è concettualizzato come un processo di ricerca all’interno del quale paziente e terapeuta svolgono due ruoli complementari: l’uno è ricercatore, l’altro supervisore alla ricerca.
Il paziente è l’esperto rispetto all’oggetto della ricerca (il suo sistema di conoscenza, le sue sensazioni, i suoi pensieri, le sue emozioni).
Il terapeuta è l’esperto rispetto al metodo e il suo compito è quello di suggerire gli strumenti e le procedure per portare avanti il processo di ricerca.

L’obiettivo della ricerca è la ricostruzione delle caratteristiche degli schemi prevalenti del sistema di conoscenza del paziente, della loro influenza sul suo comportamento e dei processi di costruzione dei significati. Alcuni processi sono più facilmente accessibili per la coscienza, altri più difficili o addirittura impossibili da rappresentare a livello di consapevolezza. Il processo di autoconoscenza comporta spesso il tentativo di ricostruire a posteriori i processi messi in atto al di fuori della consapevolezza.

Nell’ottica cognitivo costruttivista l’osservazione del sistema di conoscenze e della sua coerenza interna, permette la comprensione dell’apparato logico e dei processi di elaborazione che un soggetto attua in rapporto al suo adattamento alla realtà.
Il terapeuta si propone di ricercare le modalità attraverso cui il paziente è arrivato a costruire il proprio sistema di significati e di ricostruire la conoscenza che egli ha di sé e del suo modo di relazionarsi con il mondo esterno, per poter gradualmente facilitare ristrutturazioni più funzionali e adattive del sistema.

Il processo terapeutico ha come fine l’incremento della “complessità” del sistema conoscitivo del paziente e delle sue competenze nel costruire in maniera flessibile le proprie esperienze di vita. L’aumento di complessità deve tradursi nell’incremento della sua coerenza interna.
La conseguenza per il paziente si concretizza:

  • in una maggiore capacità e flessibilità nell’utilizzare le informazioni potenzialmente disponibili nell’ambiente per effettuare le sue costruzioni;
  • nel formulare anticipazioni degli eventi, funzionali ai propri obiettivi;
  • nell’accogliere in modo funzionale le invalidazioni e modificare le proprie strutture in rapporto ad esse;
  • nell’attribuire nuovi significati a eventi di vita, in particolare a quelli che precedentemente minacciavano il proprio equilibrio interno.

Per risultare efficace ai fini del cambiamento, l’acquisizione di nuove conoscenze su di sé non può essere esclusivamente razionale, ma deve essere sentita e rivissuta emotivamente. Non basta che la persona capisca teoricamente e razionalmente la causa e il significato del proprio disagio, ma è necessario che vengano riattivate le emozioni ad esso correlate, in modo da poterle esprimere ed integrarle nel proprio sistema. È prevalentemente attraverso questo percorso che la modalità di rappresentarsi quelle esperienze, una volta ricostruite a livello di coscienza, può andare incontro ad un processo di riorganizzazione che può tradursi in una modifica dei significati personali.

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