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4 marzo 2015

Il lavoro di equipe

Il lavoro d’equipe oggi è il metodo più efficace per favorire il raggiungimento degli obiettivi professionali e per tutelare ogni professionista da eventuali rischi di isolamento e di burnout, soprattutto all’interno di contesti socio-assistenziali. Il gruppo di lavoro rappresenta, quindi, una vera e propria risorsa, prevedendo la collaborazione di più figure professionali (medici, infermieri, psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, operatori socio-assistenziali, educatori e altri specialisti secondo la struttura di riferimento), che operano in modo integrato in ciascuna fase di progetti d’intervento efficaci volti a migliorare la qualità della vita dell’utenza: dalla progettazione, all’attuazione e alla valutazione.

E’ stato dimostrato che l’organizzazione di periodiche riunioni, dove i diversi professionisti si confrontano e condividono le proprie informazioni rilevate, permette di avere una visione più globale e completa dei casi di cui questi si occupano, ognuno secondo il proprio ruolo e la propria prospettiva. Inoltre, un monitoraggio in itinere che coinvolga ogni aspetto dei singoli percorsi d’intervento permette di apporre cambiamenti opportuni laddove i piani stabiliti inizialmente non si mostrino del tutto efficaci.

Per una buona attività di equipe appare però necessario lavorare inizialmente sulla creazione di una comunicazione che favorisca il confronto a discapito dello scontro improduttivo tra idee e visioni diverse dello stesso problema. Nel gruppo di lavoro la comunicazione si realizza su quattro livelli:

  • un primo livello dei contenuti, relativo alla definizione del caso problematico, degli obiettivi e delle operazioni per raggiungerli;
  • un secondo livello dei metodi, legato all’organizzazione della comunicazione, dei suoi spazi, tempi e modalità di turnazione;
  • un terzo livello dei processi comunicativi, dato dalla struttura conversazionale;
  • un ultimo livello delle dinamiche di gruppo, relativo alla gestione di eventuali conflitti e altri “giochi relazionali”.

Prioritario nel lavoro in un’equipe multidisciplinare è, quindi, quello di creare un clima favorevole per la comunicazione e di evitare dinamiche dove ognuno rimane chiuso nella propria posizione, non accogliendo il punto di vista delle altre figure professionali e non considerandolo come completamento del proprio.

Lavorare in gruppo significa, infatti, riuscire ad utilizzare tutte le risorse di ogni singolo membro, valorizzando ogni opinione, ritenendola degna di ascolto anche se molto diversa dalla propria. Ciò implica saper riconoscere i propri limiti e essere aperti all’idea che l’altro possa fornire informazioni, conoscenze e competenze che possono essere integrate con le proprie per operare al meglio. Laddove ci sia una situazione di divergenza di opinioni e di conflitti è importante richiedere autocontrollo e un atteggiamento flessibile e empatico, mantenendo sempre presente che lo scopo principe deve rimanere quello di migliorare lo stato di benessere dell’utenza presa in carico e non dimostrare che la propria visione è la migliore.

Talora può essere utile la presenza di un coordinatore, con la fuzione anche di moderatore. Quest’ultimo ha il compito di gestire la turnazione in modo che tutti possano partecipare attivamente alla discussione, evitando che ci siano persone che manipolano la comunicazione o si impongano sugli altri. Il coordinatore gestisce i possibili conflitti, che possono emergere dal rimanere rigidamente fermi sulla propria posizione e fa attenzione che nessuno si isoli, si distragga o assuma comportamenti non idonei, in favore di una comunicazione fluida, chiara e serena. L’obiettivo è anche quello di creare un setting dove ognuno si senta libero di esprimersi, senza che senta il bisogno di mettersi sulla difensiva e senza il timore di essere giudicato: ogni punto di vista professionale deve essere valorizzato per l’importante contributo che porta, prezioso per il raggiungimento di progetti veramente efficaci.

Il lavoro di equipe, oltre ad essere un momento culturale e formativo, rappresenta un’importante occasione di confronto psicologico, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti negativi che il rapporto con le problematiche e le tematiche sociali e sanitarie quotidianamente propone. Tutte le figure operanti nell’equipe, infatti, possono incorrere in reazioni psicologiche, affettive ed emotive da stress assistenziale ed è nell’aiuto degli altri componenti del gruppo che si possono trovare i mezzi idonei al superamento della crisi. Qualsiasi professionista, che viene esposto ad un periodo molto lungo di costante stress, può cadere vittima di quello che viene definito burnout, parola anglosassone che significa “bruciarsi” e le cui principali manifestazioni psicologiche e comportamentali sono:

  • esaurimento emotivo: sentimento di essere emotivamente svuotato e annullato dal proprio lavoro, per effetto di un inaridimento emotivo del rapporto con gli altri;
  • depersonalizzazione: atteggiamento di allontanamento e di rifiuto, che si manifesta con risposte comportamentali negative nei confronti di colleghi o degli utenti;
  • ridotta realizzazione personale: percezione di una inadeguatezza al lavoro, abbassamento dell’autostima e del senso di autoefficacia.

Tale sindrome, che negli ultimi anni ha subito un notevole aumento, colpisce soprattutto quelle professioni in contatto con persone in stato di sofferenza e che mettono nella condizione di percepire una forte responsabilità nel dare sempre risposte immediate e puntuali, anche quando ciò non è possibile, spesso a causa di insufficienti risorse sia umane che economiche. A livello fisico spesso osserviamo dei cambiamenti quali tachicardia, cefalea, nausea, disturbi gastrointestinali e spossatezza, sintomi spesso affrontati inadeguatamente con farmaci, droghe o alcol che non fanno altro che cronicizzate il problema. A livello psicologico, invece, si riscontano perlopiù problemi legati al senso di colpa, depressione, isolamento, negatività, rabbia e risentimento. A livello comportamentale, infine, si riscontano ritardi, assenze, rapporti conflittuali con i colleghi e gravi implicazioni sull’attività lavorativa che vanno dalla perdita di energia e di motivazione ad affrontarla con piacere, fino al completo distacco ed evitamento. Le stesse riunioni di equipe si trasformano agli occhi di chi è soggetto a stress da utili occasioni di comunicazione e unione di forze, energie e risorse, in momenti visti come perdite di tempo dove si fanno “chiacchiere inutili”, dove non è necessaria la presenza, dove si può arrivare quando si vuole o dove si realizzano solo conflitti senza soluzioni e stati di collera e frustrazione. Alcuni però attribuiscono la causa del burnout alla stessa mancanza di confronto e sostegno all’interno dell’equipe, mancanza che determinerebbe un potenziamento della sfiducia e il distacco tra professionisti, dando la sensazione di essere soli di fronte ai grandi problemi che si possono incontrare.

Le dinamiche di gruppo, quindi, rivestono un ruolo importante nel grado di soddisfazione per il proprio lavoro. Gli altri dovrebbero rappresentare una fonte di sostegno per ogni collega che percepisca la sensazione di non avere abbastanza risorse per affrontare le diverse situazioni da solo o che non riesca a tollerare una possibile discrepanza tra motivazioni personali e quelli dell’organizzazione. All’interno dell’equipe devono quindi poter emergere le difficoltà riscontrate durante il lavoro, per poter affrontarle con gli altri, con l’obiettivo di mantenere sempre alta in ognuno la motivazione e la fiducia in se stessi e nel proprio operato.

Oggi la migliore strategia per combattere il burnout è la prevenzione, possibile all’interno di un equipe dove lo scopo si allarga dal pianificare un modo per alleviare il disagio dell’utenza a quello di discutere e prevenire quello degli stessi professionisti.

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